Legalizzare per combattere le mafie
Giuseppe Candido, candidato nella lista Europa in Comune nel prossimo Congresso di +Europa
Di Maio dice che appoggerà la proposta sulla legalizzazione della cannabis. intervenendo a Strasburgo, ha ribadito la posizione del M5S sulla legalizzazione della Cannabis: “È chiaro che siamo in un governo in cui abbiamo scritto un contratto di governo e non tutto c’è nel contratto, ma nulla vieta che in futuro il contratto possa essere aggiornato. Quella proposta l’ho sottoscritta nella precedente legislatura”.
Salvini e la lega rispondono in coro: “Mai! Noi siamo contro gli spacciatori e i venditori di morte”.
E la cosa finisce qui. Niente dibattito, niente approfondimento. Anzi, il processo legislativo piuttosto che dalla conoscenza sembra ancorato all’ideologia.
Ma la droga libera, nelle piazze di tutt’Italia già lo è. Alle due del mattino è più difficile trovare un panino che una canna. Il problema è che col proibizionismo a guadagnarci è la criminalità organizzata e non lo Stato che potrebbe investire quei soldi in prevenzione. Legalizzare è proprio il contrario della “droga libera”. Significherebbe impedire il continuo arricchimento delle mafie.
Se i due vice presidenti del Consiglio capissero che ci sono in commercio sostanze molto più dannose come alcol e tabacco e che il modo migliore per combattere la Ndrangheta e le altre organizzazioni criminali è proprio quello di legalizzare, la questione potrebbe rientrare nel contratto di governo.
Che il proibizionismo sia stato e sia tutt’ora fallimentare – in qualunque contesto – l’hanno dimostrato la storia, la cronaca e lo confermano i dati.
Dal proibizionismo sull’alcol che aveva alimentato i guadagni dei gangster, sino ad arrivare ai giorni nostri in cui la ‘Ndrangheta calabrese è diventata una delle 4 “sorelle”, tra le più forti della mala mondiale. E nonostante tutte le politiche di proibizione, nessuna di esse è riuscita nell’intento: far diminuire i consumi. La guerra alla droga degli anni ’70, fino ai giorni nostri, è stata una catastrofe. I consumi sono aumentati e la criminalità organizzata si è arricchita a dismisura inquinando il mercato dell’economia legale con i capitali enormi provenienti dai traffici di sostanze illegali, lucrosi traffici sol perché le sostanze sono proibite.
A febbraio del 2015 fu la stessa Direzione Nazionale Antimafia – allora guidata allora dal Procuratore Nazionale, Franco Ruberto – ad inviare al Parlamento la propria relazione annuale, prevista dalla Legge, e nella quale, alla pagina n° 355, si trova un intero paragrafo dedicato alla diffusione delle droghe leggere. Nella relazione i magistrati dell’antimafia – il cui verbo solitamente è preso alla lettera – “invitano” il Parlamento a considerare seriamente interventi di “depenalizzazione” dell’intero settore delle droghe leggere.
Nella relazione l’antimafia dopo aver spiegato che il dato dei sequestri di cannabis e hashish “evidenzia un picco che appare altamente dimostrativo della sempre più capillare diffusione di questo stupefacente”, testualmente scrivono che:
“Di fronte a numeri come quelli appena visti – e senza alcun pre-giudizio ideologico, proibizionista o anti-proibizionista che sia – si ha il dovere di evidenziare a chi di dovere, che, oggettivamente, e nonostante il massimo sforzo profuso dal sistema nel contrasto alla diffusione dei cannabinoidi, si deve registrare il totale fallimento dell’azione repressiva (rectius: degli effetti di quest’ultima sulla diffusione dello stupefacente in questione)”.
Sembrerebbero parole di Marco Pannella. Invece sono quelle firmate da Franco Roberti quand’era Procuratore Nazionale Antimafia. Un Magistrato impegnato quotidianamente e strutturalmente alla lotta alle criminalità organizzate. “Deflazione del carico giudiziario”, “liberazione di risorse”. Parole che dovrebbero attirare l’attenzione del legislatore e dello stesso ministro della Giustizia. Ma anche maggiori introiti in tasse e autorizzazioni alla vendita che entrerebbero nelle casse dello Stato.
“Oggi, con le risorse attuali”, – si legge nella relazione (se la si leggesse) – “non è né pensabile né auspicabile, non solo impegnare ulteriori mezzi ed uomini sul fronte anti-droga inteso in senso globale, (…) ma, neppure, tantomeno, è pensabile spostare risorse all’interno del medesimo fronte, vale a dire dal contrasto al traffico delle (letali) droghe “pesanti” al contrasto al traffico di droghe “leggere”. In tutta evidenza” – aggiungono – “sarebbe un grottesco controsenso”.
Poi, nella relazione espressamente si parla di droghe leggere e di come sia diventato questo “un fenomeno endemico, capillare, non dissimile quanto a radicamento e diffusione sociale a quello del consumo di sostanze lecite quali tabacco ed alcool” .
E ancora: “Davanti a questo quadro, che evidenzia l’oggettiva inadeguatezza di ogni sforzo repressivo, spetterà al legislatore valutare se, in un contesto di più ampio respiro (ipotizziamo, almeno, europeo, in quanto parliamo di un mercato oramai unitario anche nel settore degli stupefacenti) sia opportuna una depenalizzazione della materia, tenendo conto del fatto che, nel bilanciamento di contrapposti interessi, si dovranno tenere presenti, da una parte, le modalità e le misure concretamente (e non astrattamente) più idonee a garantire il diritto alla salute dei cittadini (specie dei minori) e, dall’altra, le ricadute che la depenalizzazione avrebbe in termini di deflazione del carico giudiziario, di liberazione di risorse disponibili delle forze dell’ordine e magistratura per il contrasto di altri fenomeni criminali e, infine, di prosciugamento di un mercato che, almeno in parte, è di appannaggio di associazioni criminali agguerrite”. Purtroppo il legislatore, nella precedente legislatura, ha fatto un po’ come lo struzzo: ha infilato la testa sotto la sabbia è ha rimandato l’approvazione della leggi sulla legalizzazione della cannabis. Ragioni di “opportunità politica”, hanno detto.
Le esperienze come quelle del Colorado e dell’Uruguay negli USA, dove la legalizzazione della cannabis – senza incrementare i consumi – ha consentito di restituire milioni di dollari di tasse ai cittadini, pare che qualcosa sul fronte antiproibizionista si potesse smuovere anche in Italia.
Ma a prescindere dalle ideologie, proibizioniste e antiproibizioniste, la vera domanda è: vogliamo continuare ad alimentare le organizzazioni criminali? O vogliamo dare retta ai magistrati?