Corruzione: una realtà immodificabile?
Dino Guido Rinoldi, candidato nella lista Europa in Comune nel prossimo Congresso di +Europa
Dal 2012 (legge n. 190) si è iniziata una nuova strada per combattere in Italia sia la corruzione pubblica sia quella privata. L’Italia intende così attrezzarsi per contrastare questo annoso fenomeno, del resto molto mutato negli anni, soprattutto sul piano preventivo (reprimere a posteriori è casuale e in particolare non consente quella sistematicità indispensabile ad affrontare un comportamento endemico, diffuso e pervasivo).
La prevenzione ci viene insegnata da numerosi contesti di cooperazione internazionale, da quello più universale (Convenzione delle Nazioni Unite del 2003) a quelli più specifici per materia (Convenzione OCSE del 1997) o per riferimento geografico regionale-continentale (in Europa: l’Unione europea, coi molteplici suoi atti emanati a partire dal 1995, nonché il Consiglio d’Europa, con le due Convenzioni del 1999).
In Italia, Paese che in generale non possiede cultura della prevenzione (siamo bravissimi nell’emergenza, pessimi nella gestione ordinaria dei problemi: si pensi ai terremoti), quest’attività è mal sopportata o platealmente contestata da più parti. Così, ad esempio, il Codice dei contratti pubblici è stato rifatto nel 2016 (d. lgs. n. 50/2016) sulla base di tre direttive UE. Esso non è mai stato applicato nella sua impostazione originaria di contrasto all’illegalità e in particolare della corruzione: ne è stata ostacolata sistematicamente l’attuazione, per esempio ritardando le misure di qualificazione della competenza delle stazioni appaltanti e di riduzione del loro numero (oggi sono circa 36.000, escluso il comparto scuola-università), oppure scoraggiando l’uso del criterio dell’ “offerta economicamente più vantaggiosa” per tornare a quello del “massimo ribasso”. Oggi addirittura (bisogna che tutto cambi perché nulla cambi!) si pensa di riscrivere questo Codice integralmente, subordinandolo a logiche che nel passato hanno permesso pratiche diffuse di corruzione in appalti, come quella che permetteva a piccoli enti – pur inadeguati per organizzazione, competenza, risorse – di bandire gare milionarie per opere complesse … magari da assegnare ad “amici”.
Si pensi anche al fenomeno delle società partecipate da enti pubblici (in specie i Comuni), che sono state fonte di prebende politiche, di disattenzione alle esigenze dei cittadini, di malaffare. Ne è stata prevista la drastica riduzione (da circa 5.300) nella “legge Madia” (n. 124/2015), senza tuttavia riuscire ad attuarla, se non di poco, nella precedente legislatura. Il Governo in carica ha intenzione di presidiare il processo di razionalizzazione, da attuarsi in gran parte tramite la cessione o la liquidazione di società inutili e fonti di spreco?
Proprio l’attuale Governo ha escogitato la soluzione propagandistica di etichettare una nuova, ennesima, legge (la n. 3/2019, sbilanciata soprattutto sul piano della repressione) come “spazzacorrotti”, ergendosi a tutore della morale pubblica. Si è deciso di allungare le pene ed eliminare la prescrizione: si tratta di misure da campagna elettorale permanente, dimenticandosi che governare il Paese significa anzitutto intervenire sulle cause che rendono lenta ed inefficace l’amministrazione della giustizia penale, come gli operatori economici tanto italiani quanto di altri Paesi continuamente e inutilmente ci ricordano a ogni pie’ sospinto.
Bisogna allora arrestare la bulimia legislativa partiticamente orientata e lasciar lavorare le autorità pubbliche preposte al contrasto alla corruzione, soprattutto in via preventiva. La continua innovazione normativa compromette l’applicazione delle regole anche da parte del sistema giudiziario; ostacola la professionalità della Pubblica Amministrazione che, invece di acquisire competenza davanti a un panorama normativo stabile, si trova alle prese con continue modifiche che viceversa approfondiscono i dubbi delle amministrazioni, specie locali, e le paralizzano quando pure sono spinte dalla volontà di lavorare nell’interesse generale. Le norme del resto sono in misura sempre maggiore scritte in modo sciatto e non lineare, aumentando così, tra l’altro, la ricerca del loro aggiramento e il contenzioso.
In questi giorni il Parlamento europeo ha deliberato misure di blocco dei fondi strutturali UE nei confronti di Paesi che non rispettino le regole dello Stato di diritto, in particolare con condotte di frode e di corruzione. Quest’ultima infatti, oltre a compromettere l’economia sana e la fiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche, impedisce il perseguimento di un efficiente ed efficace Stato di diritto, quale fra l’altro previsto dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Le misure hanno visto il voto contrario dei parlamentari europei della Lega, mentre quelli del Movimento 5 Stelle si sono astenuti!